Ci sono persone che sembrano abbracciare più a fondo l’essenza del proprio essere, persone che non si accontentano di una vita piacevole ma tutto sommato lineare e fra le righe; persone che dedicano ogni minuto della propria esistenza a realizzare la miriade di sogni e idee affastellati nelle loro menti, senza sosta, senza remore, e senza chiedere il permesso a nessuno. Alcune di queste persone lo fanno con una gioia intrinseca, un modo di essere coinvolgente, convinto, e che va dritto all’obiettivo.
Angelo Delea è una di queste persone. Fondatore dell’omonima azienda vinicola Vini e Distillati Angelo Delea, situata a Losone – un paesino del Ticino (Svizzera) – Angelo e i suoi figli David e Cesare mi hanno dedicato una giornata piacevolissima lo scorso Ottobre, permettendomi di visitare l’intera azienda di famiglia, le cantine e l’acetaia dove producono anche aceto balsamico.
Delea produce e vende vino in Svizzera e in piccola parte anche in Europa, specialmente in Germania, dove ha una sede legale e un piccolo magazzino a Berlino per poter gestire le spedizioni a livello europeo. Il mercato di Delea è al 98% svizzero, e distribuito sul territorio tramite venditori diretti in Ticino, rivenditori sulla Svizzera tedesca e francese e online sul tutto il territorio nazionale; a questo si sommano le vendite tramite i due negozi fisici in Ticino, la presenza in molti ristoranti e nelle catene di supermercati, oltre che la vendita diretta nella loro splendida enoteca.
Arrivando in macchina, si vedono solo due grandi capannoni e una porticina che conduce nello spazio enoteca. La vera sorpresa arriva quando Cesare Delea mi porta a visitare la cantina, 12 metri sotto il suolo. È uno spazio enorme, bellissimo, con un camino gigante e un piccolo museo del vino con la prima bottiglia mai prodotta da Delea. Come dice Cesare sorridendo, “qui capisci un po’ la pazzia di mio padre”. È uno spazio che lascia senza fiato.
Ed è proprio dalla cantina che voglio far partire la mia intervista, che è stata modificata e accorciata per motivi di chiarezza e leggibilità.
Partiamo dal museo del vino, nella barricaia. È stupendo, si percepisce tutta la passione che ci sta dietro. Mi racconti come ti è venuta l’idea di creare un piccolo museo del vino?
Angelo: ho impostato tutta la mia vita sulla ricerca del bello, del buono e del far stare bene la gente. Ho fatto tante esperienze dal vivo girando per le cantine più famose del mondo, soprattutto in Francia e in Italia. E questo mi ha portato a vedere cosa facevano i grandi, ad assorbire tutte le conoscenze come una spugna e a riproporle qui in Ticino. L’ho fatto nella ristorazione, nel riadattare le case che ho vissuto, nell’agriturismo l’Amorosa che ho creato, nella cantina.
Le occasioni vengono, non so se le provochiamo noi. Nella mia vita ogni cosa che ho sognato poi si è realizzata... Ho sognato di avere un Cesare, un David, [N.d.R. I figli], e loro sono arrivati.
Ho lavorato tantissimo, vorrei dire troppo, ma mi sono anche divertito.
La mia passione cerco di metterla per tutto. È un po’ dura farlo fino in fondo, perché la bottega è grande, e poi voglio seguire anche altre cose.
Il museo è nato perché vedevo cose meravigliose, poi le prendevo e le tenevo in giro, le chiamavo “cianfrusaglie di cantina”.
Il cuore che pulsa di questa cantina è la barricaia, dove teniamo gli eventi. Riceviamo 4 o 5 mila persone l’anno, per visite, su appuntamento. Mostriamo la tecnica di vinificazione, che viene vista come una cosa industriale; invece poi, quando la gente entra sotto, vede che c’è la poesia.
Il museo del vino
Sei sempre stato imprenditore?
Sì, all’inizio ho lavorato per altri, ma poi volevo potermi gestire da solo. E volevo gestire i miei sogni. Questo è un aspetto importante.
Ho iniziato come ristoratore, e girando come sommelier e ristoratore appassionato di vini mi sono preso una cotta, un innamoramento tremendo, per il vino.
Ho cominciato a far vino nella piccola cantina di mio papà, e in seguito sotto alla pizzeria gestita con mio fratello; prima vendemmia 2000 Kg. È stata un’impresa titanica; fare 2000 kg allora era come farne 500 mila ora.
Non è vero che la botte vecchia fa buon vino, lo rovina. Per fare il buon vino ci vuole la botte nuova, l’uva giusta, gente capace di lavorare, che impara a fare e a degustarlo.
Ero già bravo, avendo fatto il corso di enologia ed essendo stato a Bordeaux… Il mio Carato etichetta rossa era diventato famoso, lo volevano comprare tutti, e da lì mi è venuta la spinta a produrne altro.
Per due anni l’abbiamo fatto lì nella cantina, poi le barrique non ci stavano più e siamo andati sotto la pizzeria dove avevo un ristorante con mio fratello. Nel 1993 abbiamo aperto la prima cantina, ma nel ‘92 avevo già prodotto la modesta cifra di 100mila bottiglie.
Avevo un pezzo di cantina dove facevo la ricezione dell’uva all’esterno, i tank stavano fuori, abbiamo noleggiato una di quelle tende grandi per le feste, inizialmente pensando che ne avremmo avuto bisogno per un mesetto. È rimasta lì due anni.
Non avevo un minimo di paura, ero così orgoglioso di quello che facevo. Avevamo tecnologia avanzata, tank con i radiatori, però sempre sotto quella tenda delle feste. È stata una bella avventura, perché già avevo in mente la cantina.
Piantare la vigna è un onere, coltivare l’uva è difficile in Ticino. Quello del viticoltore è un lavoraccio per i problemi meteorologici: rischiamo di portare in cantina l’uva marcia.
Fa secco per 3 mesi, brucia tutto, poi piove troppo; a causa di una gelata in primavera abbiamo perso molta uva, bruciata. È stata dura, ma abbiamo gestito tutto in tempo e ce l’abbiamo fatta lo stesso a portare a casa una buona vendemmia.
Ho fatto storia essendo uno degli ultimi produttori importanti del Ticino, ma 40 anni fa non ero importante, ero un mero ristoratore. Mi è nata questa passione che sto ancora coltivando, cercando di creare non solo vino ma anche nuove grappe, di cui sono appassionato, perché vedo che il mercato in Italia è esplosivo; Berta, Poli, Nonnino fanno cose ben fatte.
Con una buona macchina, una persona da sola fa il lavoro di quattro. L’innovazione c’è, poi il vino si fa sempre nel legno, nelle barrique.
Non è vero che la botte vecchia fa buon vino, lo rovina. Per fare il buon vino ci vuole la botte nuova, l’uva giusta, la gente che è capace di lavorare, che impara a fare e a provarlo, a degustarlo.
Come ti senti nei confronti della modernizzazione dell’azienda? Quando si ha un’attività propria, può essere difficile darla in mano ad altri, e tu la stai dando ai tuoi figli in un modo diverso, nuovo.
Angelo: Ben vengano le iniziative di Cesare, io lascio fare a lui e alla sua squadra.
A volte mi chiedo se è giusto fare così: una ditta di vino dove c’è così tanta passione, storia, tanta tradizione...ma poi penso che sulla modernità della cantina investirei continuamente, anche troppo. Perché è essenziale. Credo che non si possa più andare avanti a un certo livello di numeri lavorando manualmente come facciamo noi. Nella vendemmia lo sforzo è notevole.
Cesare: Mio padre è sempre stato per l’avanguardia, per la modernità tecnica del macchinario. E infatti hai visto la nostra distilleria moderna, il magazzino all’avanguardia, la linea di imbottigliamento automatizzata. Certo, finché la modernità è tangibile, tutto bene, però poi quando si va sul virtuale, lì è un’altra cosa riuscire a far capire l’importanza.
Angelo: Il virtuale non appartiene al mio mondo. È vostro. Per me ben venga, se riesci a vendere. Io apprezzo molto il lavoro che fa Cesare col suo team. E per fortuna lo fanno loro, io non ce la farei, e poi non sono più un ragazzino e dovrò cominciare a tirarmi indietro.
Cesare: Ora siamo motivati e la potenzialità dell’ecommerce è stata accettata, ma se torniamo indietro un paio d’anni, era l’opposto. Mio fratello mi diceva “arriviamo a fine anno poi vediamo”. Ho fatto fatica a convincere tutti. C’era bisogno di gente in produzione e io invece ho assunto due persone per il mio team digitale, il resto dei dipendenti pensava che fossi in ufficio a giocare al computer. Magari adesso c’è la vendemmia, sono fuori a spostare cassette come disperati dalle 8 di mattina alle 22 di sera, perché in vendemmia è così... La gente è restia al cambiamento, l’ho visto quando abbiamo messo il POS, si è scatenato il panico generale in ditta. L’online viene visto come un costo e un fastidio. Tanti dipendenti pensano che stia buttando via soldi.
Angelo: Hai pienamente ragione, bisogna investire di più. L’idea che ha avuto Cesare di diventare rivenditori del gin Amuerte, oltre che dei nostri vini, è stata buona. Questo gin è di moda ed effettivamente si vende.
Cesare: Tieni presente che i clienti dei vini Delea hanno 40 – 45 anni e oltre, mentre quelli tipici di Amuerte vanno dai 18 ai 35. È un altro pubblico, per una tipologia di prodotto diversa. Il mio obiettivo era essere leader dell’online qui in Ticino, e lo siamo a mani basse. Anche a livello Facebook, Instagram, siamo presenti giornalmente. La nostra competizione è offline, dove però operano ancora alla vecchia maniera, per cui prima o poi i nodi verranno al pettine.
Riguardo ad Amuerte, il gin… All’inizio il traffico è schizzato da 40 visite a 900 al giorno; abbiamo scommesso su quando avremmo fatto la seconda comanda dal Belgio, stimavamo 2 mesi, e invece la seconda settimana abbiamo già dovuto riordinare. Abbiamo importato i dati del pixel Facebook di Amuerte Europa con esperienza di due anni. I risultati sono stati ottimi.
È più difficile – o solo diverso – fare e vendere vino online in Svizzera, fuori dall’UE?
Cesare: Sulla vendita online possono esserci delle limitazioni dato che il paese è piccolo, ma per quanto riguarda le vendite offline siamo fortunati: il 98% del vino lo vendiamo in Svizzera.
Qui la produzione svizzera non raggiunge neanche il 30% dei consumi, il 70% del vino venduto e acquistato è estero. Se noi lavoriamo bene e siamo convinti di quel che facciamo, riusciamo a soddisfare la domanda in Svizzera e siamo a posto.
Nella storia dell’economia svizzera il vino è un accessorio, anche se la tradizione ha 300 anni e il vino qui si fa da tanto tempo
Angelo: Però è difficile per tante ragioni, nella storia dell’economia svizzera il vino è un accessorio, anche se la tradizione ha 300 anni e il vino qui si fa da tanto tempo, non è conosciuto all’estero. Abbiamo vini di qualità, ma la gente non lo sa, e abbiamo vini cari, soprattutto nella fascia bassa. Non riusciamo a sfiorarla perché non riusciamo a coprire i costi. Ci sono dei vini a basso costo fatti bene, la qualità è diventata eccelsa in tutto il mondo. Si è scoperta la tecnologia, tutti hanno la possibilità di imparare, mentre la mia generazione ha dovuto imparare girando le zone di Bordeaux e quei posti lì.
Cesare, quando hai iniziato con l’ecommerce?
Cesare: Prima che arrivassi io nel 2014 per l’ecommerce era stato fatto un progetto non molto funzionale, molto old school. Dopo aver fatto un’esperienza lavorativa altrove, sono entrato nella ditta di famiglia e ho iniziato ad apportare un po’ di cambiamenti a livello informatico. Assieme al mio collaboratore Francesco avevamo trovato una persona che ci ha proposto Shopify. Questa persona ha iniziato a realizzare il sito, ma poi è sparita senza finirlo.
Quindi ci siamo ritrovati sempre con questo sito vecchio che comunque non viaggiava male. A quel punto Francesco e io abbiamo deciso di finire il sito Shopify, ci abbiamo messo un paio di settimane a studiarlo e a caricare una miriade di articoli. Abbiamo sputato sangue perché tante cose le abbiamo fatte fuori dall’orario di lavoro... La problematica più grande è stata trovare foto e descrizioni di tutti gli articoli, perché ne abbiamo tanti. A oggi abbiamo 1.200 articoli sull’online store. È una gestione complessa, poi ci sono le 3 lingue da gestire…
In ogni caso siamo partiti con il tema Mobilia, piuttosto semplice, e funzionava. Non abbiamo spinto molto, uscivamo ogni tanto con un’email di Mailchimp. Poi abbiamo fatto un corso di marketing interno con Marco Belzani, e abbiamo approfondito l’email marketing, il CRM, ecc., e questo mi ha spinto a concentrarmi un po’ di più. Abbiamo preso Infusionsoft, un programma americano di CRM e di email marketing abbastanza potente. Ci ha aperto un po’ gli occhi, con qualche incidente di percorso nel mezzo, però abbiamo iniziato a fare le prime campagne un po’ serie multilingua e sono arrivati i primi riscontri. Dopo due settimane abbiamo partecipato al nostro primo Black Friday.
Parlando in proporzioni, al nostro primo Black Friday – nel 2017 – abbiamo fatturato il 60% dell’intero anno precedente – in un giorno. È stata una giornata di fuoco. Panico generale, telefono, email. A quel punto abbiamo assunto una persona in più e abbiamo scelto di spostarci su Shopify Plus.
Noi gestiamo tre o quattro lingue, se vogliamo uscire con una newsletter dobbiamo tradurla in 3 lingue e poi capire a chi va per inviarla nella lingua giusta.
All’inizio abbiamo avuto solo disastri. Devi capire che noi gestiamo tre o quattro lingue, e operiamo in un’area molto piccola. Quindi, devi uscire con una newsletter? Va tradotta in 3 lingue e poi devi capire a chi scrivi per inviarla nella lingua giusta. Attualmente Shopify non ha questi grandi strumenti per il multilingua, per fortuna abbiamo trovato delle scappatoie tramite Klaviyo e Weglot.
Le API Shopify sono studiate per girare sul monolingua, o in inglese. Un programmino chatbot che proponeva il carrello abbandonato Recart, che andava fortissimo, per noi non funzionava; perché se tu scrivi in inglese e la persona che riceve l’email parla italiano, ed è over-40 come nel nostro caso, quella persona non ti si fila.
In ogni caso, per Black Friday l’anno scorso abbiamo ricevuto 300 ordini in 4 giorni. L’offerta era del 30% di sconto più un regalo a chi spendeva più di 1.000 franchi.
Abbiamo fatto una volta e mezzo il fatturato dell’intero anno precedente, in un giorno solo. Da quel punto di vista, siamo i leader in Ticino. Il problema è che dando uno sconto così la nostra marginalità si riduce molto.
Siamo arrivati a Cantine Aperte con un buon risultato. [Cantine Aperte è una manifestazione annuale organizzata da Ticino Wine, un’associazione ticinese di categoria, durante la quale le cantine restano aperte per degustazioni e il vino è venduto a prezzi scontati.] Inizialmente io e Francesco siamo partiti entusiasti e davamo il 10% di sconto qua, il 20% di là, ma non funzionava, perché il cliente aspettava solo quei momenti per comprare. Quando l’abbiamo capito abbiamo smesso di fare sconti “casuali” che danneggiavano il brand.
Ora ci limitiamo a tre eventi all’anno: Black Friday, Cantine Aperte a maggio e Cantine Aperte invernale, che però è molto vicino al Black Friday. E tra le varie piattaforme di promozione, usiamo molto l’email marketing.
Che iniziative di email marketing fate?
Dario (collega del team digital di Delea): Al momento stiamo preparando un programma di newsletter estremamente dettagliato, perché abbiamo dei clienti molto fidelizzati, che tornano dopo un certo periodo di tempo e rifanno gli acquisti. Quindi cerchiamo di incentivarli, sempre trasmettendo i valori aziendali e mettendo delle novità per cercare di alzare lo scontrino medio.
Ci appoggiamo anche a FB Ads con app come Shoelace. E poi siamo sempre alla ricerca di nuovi strumenti. Abbiamo una bella lista per l’email marketing che cerchiamo di tenere pulita. Ogni tot togliamo un 30% di contatti passivi, abbiamo 10mila contatti circa, pulita. Anche perché abbiamo tutto integrato. Chiunque comunichi con noi ci finisce dentro. Per Delea la difficoltà è che il target è over 40, over 45… In futuro, l’utente di 40 anni avrà una conoscenza maggiore del mondo digitale, ma per ora è ancora limitata.
Dove ci siamo svecchiati molto è con Amuerte, dove il target va dai 18 ai 30 anni.
In 5 mesi abbiamo venduto più di 6.500 bottiglie. Stiamo andando veramente forte, e il 50% delle vendite è stato fatto online.
Cesare: È interessante perché abbiamo avuto dei nuovi contatti con altre realtà, che magari prima non lavoravano con noi. Ad esempio, i bar di giovani, siamo entrati con Amuerte e poi magari proponiamo il nostro spumante. È interessante, funziona. Si parla continuamente del rapporto offline e online, Amuerte calza a pennello: con la spinta che abbiamo avuto online, sono arrivati anche clienti offline. Non siamo andati a cercarli noi, sono venuti loro a cercarci tramite l’online. Noi inizialmente siamo partiti proprio cattivissimi sui social, abbiamo spinto tantissimo. Con Delea è diverso, gli utenti di Amuerte hanno tutti in mano il telefono e guardano Facebook e Instagram, quelli di Delea no.
Il 90% dei clienti Amuerte parlano comunque anche inglese, perché sono tutti giovani. Con Amuerte puoi uscire in inglese, con Delea no. Dobbiamo essere in grado di settorializzare le due cose, i due brand.
Avete un ottimo blog, vi occupate del content marketing internamente?
Cesare: sì, se ne occupa Dario. Poi abbiamo delle altre persone che magari scrivono, come il nostro responsabile commerciale.
Dario: Io posso essere molto ferrato su argomenti online, però non ho la conoscenza di un enologo o del nostro direttore commerciale, a livello di vini. Così sfruttiamo le loro conoscenze, ci facciamo raccontare delle cose, poi le rimpacchettiamo e le usiamo sui social e online, creiamo offerte. E la cosa bella è che abbiamo un bel riscontro; ad esempio, non è strettamente correlato, però su Delea abbiamo quasi il 60% di visite mensili dalla SEO organica, il che vuol dire che se dovesse succedere qualcosa e non possiamo più spendere, abbiamo sempre l’organico.
La SEO la fate voi?
Cesare: A parte un aiuto esterno sulle Ads, per eventi come Black Friday e Cantine Aperte, il resto lo facciamo tutto noi internamente. A volte fuori dagli orari normali di lavoro...anche con Shopify, ci abbiamo trascorso tanto tempo fuori dal lavoro a documentarci, a cercare, ad affrontare volta per volta gli imprevisti.
Nella nostra crescita siamo sempre stati accompagnati dai nostri Merchant Success Manager di Shopify, che ci hanno aiutato a usare gli strumenti che usano i “grandi”.
Qual è la percentuale di vendita online / offline?
Cesare: l'online ha rappresentato il 2% nel 2018; puntavamo ad arrivare al 5%, ma nel 2019 abbiamo raggiunto un 8% abbondante, moltiplicando x10 il fatturato online in 3 anni.
Mentre con Amuerte l'online è il 50%, ma è una situazione diversa, Delea comunque ha 35 anni, i clienti sono ristoranti ecc.
Per Amuerte abbiamo preso un fulfillment center in Svizzera: Poste Svizzere. Hanno un magazzino tutto automatizzato, elettronico con i robot, bellissimo.
Con quello e l’app di Shopify, se do l’ordine entro le 17, la mattina dopo il cliente lo riceve. Siamo contentissimi. È molto vantaggioso, abbiamo ridotto le spese rispetto a quando lo facevamo noi.
Il fullfillment center esternalizzato sarebbe interessante anche per l'ecommerce Delea ma con Amuerte abbiamo solo pochi articoli: bottiglia bianca, nera, box regalo e ora abbiamo aggiunto qualche gadget. Con Delea abbiamo 1.200 articoli, come faccio a mandare a Zurigo 1.200 articoli? Il costo di immagazzinarli sarebbe troppo elevato, invece così non ho la responsabilità del magazzino.
Raccontatemi del gin Amuerte.
Cesare: Sono capitato sul sito di Amuerte per caso, mentre facevo ricerca pensando di fare un evento con i nostri superalcolici brandizzati. Noi produciamo anche gin, l’anno scorso ne abbiamo prodotto 5000 bottiglie. Ho visto Amuerte e ho pensato, ma chi me lo fa fare di partire da zero con un nuovo branding? Mi è piaciuto, abbiamo chiesto di mandarci due bottiglie… da lì è partita la cosa. Ci sono due siti, Amuerte.ch è nostro, fatto da noi, poi c’è Amuerte.com che è quello originario fatto dai fondatori, con un bel redirect.
Il problema è che in Svizzera la gestione del superalcolico a livello marketing/promozione è molto regolata, controllata. C’è un fascicolo di 30 pagine e un regolamento in via di sviluppo.
Inoltre non puoi fare un brand di vestiti con il logo dei superalcolici, i gadget possono essere dati solo a chi è addetto ai lavori e non al pubblico.
È una limitazione molto pesante e io non posso promuovere sconti. Non posso promuovere Black Friday. Non posso dare l’idea di un vantaggio economico.
Questo ha influito molto sul Black Friday 2019, difatti abbiamo venduto solo il ¼ di quello che avevamo preventivato.
Se tu mi arrivi in cassa con la bottiglia di Amuerte, posso darti il 10% di sconto, però non posso dirti compra che ti do il 10%. Né sul sito né di persona. Un conto è sui vini, un conto sui superalcolici.
Dario: Non possiamo usare neanche foto con un panorama dietro. Avevamo un’immagine lifestyle con il mare in movimento sullo sfondo, con una barca, e ci hanno detto che non potevamo usarla perché “c’era uno sfondo panoramico”. Possiamo solo vendere e usare immagini statiche della bottiglia senza visi, senza paesaggi.
Può essere ritratto il produttore ma in modo molto limitato. Ad esempio, se faccio un video al barman che prepara i cocktail, non posso riprendere il volto e non posso inquadrare l’eventuale panorama dietro di lui, posso inquadrare solo il bar. È un regolamento in via di sviluppo da parte dello stato svizzero.
Conclusione
Nonostante tutte queste limitazioni burocratiche e nonostante le barriere dovute allo stacco generazionale, Delea è una ditta capace di fondere in modo impeccabile la tradizione col nuovo, facendosi forte del suo passato senza fossilizzarsi, abbracciando il mondo digitale per trovare nuove nicchie e nuovi clienti in modo costante.
Un ringraziamento particolare ad Angelo e Cesare Delea, Dario Manduca, Francesco Gargiulo di Delea e a Ornella Danese, autista e assistente d’eccezione, per avermi dedicato un’intera giornata affinché avessi il materiale necessario per scrivere questo articolo.
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